Purtroppo in questo ultimo periodo sono successi degli eventi tragici e dolorosi. Stefano Piffer, giovane motociclista trentino, ci ha lasciato prematuramente a causa di un incidente, stessa sorte occorsa a Marco Scaravelli, bambino di appena 6 anni, morto in sella alla sua minimoto a Mantova.
Sono vere e proprie tragedie che ciclicamente riaccendono l’annoso dibattito sulla pericolosità di questa passione: la “moto”.
La famiglia del piccolo Marco ha deciso di donare gli organi – gesto altruista e non scontato – proprio dei veri motociclisti. L’aspetto più inquietante dell’intera vicenda risiede nell’imbecillità dei soliti “commentatori Facebook” i quali si sono permessi di accusare il padre di aver ammazzato il figlio, facendogli fare quello sport. Stessa cosa era successa per il piccolo Chicco Maida, morto mentre praticava motocross e quotidianamente pianto dal padre Massimiliano e dalla famiglia.
Purtroppo è risaputo, mascherati da un nickname e con davanti una tastiera e uno schermo, molti si sentono legittimati a dare lezioni di vita, a pretendere di insegnare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato.
Non pensano questi idioti che un padre il quale vede il figlio morire, non dovrebbe essere colpevolizzato e sottoposto ad una “gogna mediatica” così becera. Non pensano sempre questi stolti che non solo la motocicletta è pericolosa, ma anche lo sci, la bicicletta, la vela, l’equitazione e molte altre discipline.
Non c’è cosa più bella che vedere i figli condividere una passione con la propria famiglia. Sulle piste da motocross, ad esempio, intere carovane (mamma, papà, nonni, cugini, zie ecc.) trascorrono week end all’insegna dello sport e dell’unità.
Questi angioletti sono morti facendo quello che amavano, che li faceva sentire vivi e liberi.
Nel “gioco della vita” purtroppo a volte capita di trovare davanti a sé un ostacolo insormontabile, è una frazione di secondo, è un attimo; fa parte del gioco, fa parte della vita.
N.V.